mercoledì 24 settembre 2014

Suicidi, Basilicata seconda nella classifica

MASSIMO BRANCATI
POTENZA - Crisi economica, depressione, mancanza di fiducia nel futuro. E ancora: droga, abuso di alcol e di farmaci, incapacità di reagire alle negatività della vita. Sono tante le cause che spingono al suicidio, un fenomeno che in Basilicata sta assumendo i contorni di una vera e propria emergenza. Lo dicono le statistiche: siamo la seconda regione in Italia per tasso di suicidi (14,6 ogni 100mila abitanti). Ci supera in questa triste classifica soltanto la Calabria dove il dato ha raggiunto quota 18. A togliersi la vita sono soprattutto i più giovani se è vero che tra le prime cause di morte per i ragazzi tra i 10 e i 24 anni c’è proprio il suicidio.

Numeri (purtroppo) destinati a crescere se si fa riferimento al trend di questi primi otto mesi del 2014: incrociando i dati di questura e carabinieri scopriamo che si sono verificati 11 suicidi, di cui 7 soltanto a Potenza e nell’hinterland. In molti casi questi gesti estremi sono legati alla crisi economica, tant’è che tra i protagonisti dei casi di cronaca ci sono diversi imprenditori e operai licenziati. Ma dietro al suicidio - come ci spiegano gli esperti - potrebbe esserci anche dell’altro: drammi interiori, traumi infantili, situazioni che affondano le radici in fragilità psicologiche.

Tra le pieghe dei dati statistici scopriamo che a togliersi la vita sono soprattutto gli uomini, con 9 casi di suicidio l’anno ogni centomila abitanti, contro un 2,6 tra le donne. Le fasce di età maggiormente interessate al fenomeno sono tra i 15 e i 24 anni e tra i 25 e 34 anni. Accanto a freddi numeri occorre fare una riflessione: il suicidio raramente è un impulso dovuto ad una decisione immediata. Durante i giorni e le ore precedenti al gesto, generalmente appaiono indizi e segnali di allarme. Quelli più forti e rivelatori di un disturbo sono verbali. Della serie: «Non posso andare avanti così», «Non m'importa più di niente» o anche «sto pensando di farla finita». Certe espressioni vanno sempre prese sul serio. Così come non bisogna sottovalutare altri segnali che, in genere, passano inosservati: diventare improvvisamente chiusi, comportarsi pericolosamente (correre in auto o in moto, bere troppo, tendere all’autolesionismo), mettere ordine nei propri affari e regalare oggetti di valore, mostrare marcati cambi di comportamento, attitudini o apparenza, abusare di droga e medicinali (soprattutto psicofarmaci).

Anche le esperienze vissute, quelle che lasciano ferite nel profondo, possono giocare un ruolo fondamentale nella scelta di togliersi la vita: subìre abusi sessuali o fisici, perdere un caro amico o un familiare, divorziare, fallire a scuola (un brutto voto o la paura di un esame) o sul lavoro. Già, ci risiamo, il lavoro. La perdita del posto o una crisi aziendale lasciano una ferita profonda nell’inconscio pronta a sfociare in autolesionismo. Ed è su questo aspetto che tutti, a cominciare da chi ci governa, dovrebbero riflettere. Seriamente.

Tratto dalla Gazzetta del Mezzogiorno